Attività promosse dalla Sen. Elena Cattaneo in Senato
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“Cibo per la mente”: Elena Cattaneo risponde a tre deputate sul biologico

Il 27 marzo 2019 viene recapitato in Senato ad Elena Cattaneo un cesto di prodotti alimentari biologici e biodinamici, da parte di tre deputate di diversi partiti, come raccontato dalla stessa Senatrice in questo articolo su Wired. Il 3 aprile, Elena Cattaneo risponde ringraziandole, ricambiando il regalo e motivando la propria non adesione all’invito.

Poiché su questo argomento è in corso da alcuni mesi una campagna di comunicazione promossa dalla Federazione italiana di promozione dell’agricoltura biologica e biodinamica, si rende pubblica, di seguito, la risposta della Senatrice Cattaneo alle deputate Cenni, Cunial, Muroni, che hanno apposto la loro firma, a seguire quella di un rappresentante della suddetta Federazione, sulla lettera allegata all’invio originale.

A questo link è possibile scaricare la lettera in formato PDF.

Alla c.a. delle Onorevoli deputate
Susanna Cenni
Sara Cunial
Rossella Muroni

Roma, 3 aprile 2019

Oggetto: Cibo per la mente

Gentili Onorevoli Cenni, Cunial, Muroni,

innanzitutto grazie per il cesto che avete voluto donarmi. Un dono prezioso, letteralmente, soprattutto alla luce dei prezzi dei prodotti biologici che contiene, quando comparati con beni analoghi presenti sul mercato. Vi ringrazio anche per gli apprezzamenti in merito al mio lavoro di ricerca, che tuttavia non riguarda le cellule staminali ma la malattia di Huntington, essendo le staminali solamente uno strumento che impiego nella ricerca su questa tragica malattia, così come gli organismi geneticamente modificati che utilizzo alla ricerca di nuove strategie di cura.

Tuttavia, il testo della missiva che accompagnava il cesto ha destato in me diverse perplessità, alcune delle quali credo sia opportuno condividere.

Ritengo doverosa una precisazione sulle “competenze” chiamate in causa nel primo paragrafo che io, scienziata, eserciterei fuori dal mio “settore”: come ho più volte dichiarato, non sono direttamente coinvolta (come nessuno dei miei familiari), né come ricercatore, né come operatrice del settore, sul tema dell’agricoltura integrata o biologica, ma studio (molto) l’argomento e la letteratura scientifica e ritengo che rappresenti una delle grandi sfide culturali, politiche ed economiche dei prossimi decenni. Per questo, da quando il Presidente Napolitano ha voluto onorarmi della carica di Senatrice a vita per meriti scientifici, essendo chiamata a riflettere e, in Parlamento, decidere responsabilmente sulle questioni dirimenti per il futuro del Paese, raccolgo dati, analisi e studi sull’argomento. Inoltre, la pratica continua e diretta, da decenni, del metodo scientifico costituisce un obiettivo vantaggio, rispetto a coloro che scienziati non sono, per avvicinarsi a conoscenze tecnico-scientifiche non direttamente investite dal proprio campo di studi. È proprio con questo metodo, ad esempio, che durante la scorsa Legislatura studiai e scoprii le bufale anti-Ogm promosse in Commissione Agricoltura al Senato da un audito invitato da esponenti del M5S. Questo background e approccio metodologico mi sembra adeguato per fare affermazioni argomentate sul “settore”; confido che analoga propensione all’approfondimento, scrupolosità e aderenza verso le evidenze disponibili connoti quanti, dentro e fuori dal Parlamento, si esercitano nel promuovere e orientare le politiche pubbliche del Paese.

Sempre nel primo paragrafo, mi si taccia di una “presa di posizione (…) contro” la (sic) “bioagricoltura”. Un’affermazione contraria al vero, dal momento che tale termine, nel dizionario Treccani, appare come sinonimo di “agricoltura integrata”, cioè quella che i dati attuali ci dicono essere la via imprescindibile verso la sostenibilità: una combinazione di tutti gli strumenti e le tecnologie innovative che la ricerca e la pratica mettono a disposizione per la protezione e il miglioramento della resa delle colture, secondo uno schema razionale, per produrre quanto più possibile usando le risorse a disposizione nel modo più efficiente e rispettoso dell’ambiente.
Molti dei miei interventi pubblici dell’ultimo anno sul tema dell’agricoltura sono stati volti a portare a conoscenza dei cittadini questo approccio laico, razionale, non ideologico, controllato, salutare ed economicamente accessibile. Si veda da ultimo l’articolo “Un futuro più certo per l’agricoltura integrata” pubblicato da Il Messaggero lo scorso 7 marzo.

Soprattutto, scorrendo le firme in calce alla lettera, colpisce la circostanza che tre deputate della Repubblica scelgano di apporre le proprie insieme (addirittura “a seguire”) a quella di una componente dell’Ufficio di presidenza di Federbio, influente lobby del biologico e del “cornoletame“, esplicita portatrice di interessi commerciali e portavoce della campagna “Cambia la Terra” che, nell’omonimo rapporto – per tacere delle immagini “terroristiche” presenti sul sito – accusa falsamente chiunque non pratichi il metodo biologico (dunque le centinaia di migliaia di agricoltori italiani che scelgono l’agricoltura integrata) di (sic) “inquinare l’economia e il pianeta” e di immettere sul mercato prodotti che potrebbero avere impatti negativi sulla salute, ingannando il cittadino con narrazioni pressoché prive di fondamento scientifico volte a condizionarne le scelte d’acquisto. In generale, anche laddove vi sia una condivisione di fini, evitare la confusione di piani e ruoli tra eletti e portatori di interessi sarebbe consigliabile onde evitare lo spiacevole fenomeno della “cattura del regolatore”.

Infine, in merito alla eventuale visita ad un’azienda biologica che ambisca a stare sul mercato e concorrere alla grande distribuzione, avendo incontrato nel corso degli anni numerosi imprenditori (biologici inclusi) e visitato alcune loro aziende – insieme a specialisti del settore, per studiare e comprendere il patrimonio di conoscenze ed esperienze sui flussi, l’origine e gli usi dei materiali, quaderni di campagna inclusi, poiché senza queste competenze una visita si riduce ad una “scampagnata” – ho ben presente di cosa si tratti, perché me lo riferiscono loro stessi. Il biologico, mi spiegano, è un’agricoltura di nicchia, non adatta alla grande distribuzione o a nutrire il pianeta; non va valutato su scala aziendale ma globale; ha rese basse, insostenibili per un’azienda, e vive di sussidi pubblici in misura maggiore rispetto al convenzionale; necessita di molta più terra per produrre la stessa quantità di cibo; rinuncia per obiezioni ideologiche a tecnologie innovative a ridotto impatto ambientale; impiega pesticidi in dosi elevate (ad esempio il rame, più tossico del glifosate); dipende fortemente, per i fertilizzanti azotati, da residui animali, tra cui anche scarti di macellazione da allevamenti intensivi; metà delle terre “convertite a bio” sono prati, pascoli e foraggere indistinguibili dal “non bio” se non per gli incentivi dedicati che prendono; i controllori di conformità sono pagati dal controllato; i prodotti non presentano nessun vantaggio nutrizionale scientificamente acclarato, ma grazie ad una narrazione denigratoria dell’agricoltura convenzionale si vendono a un prezzo doppio o triplo. La realtà descritta è più o meno ricorrente e sicuramente vi sono eccezioni per ciascuna azienda, ma a livello macro – d’interesse del Legislatore – il quadro non cambia.

Quanto all’invito ad una concordata visita in situ di una specifica azienda, sono per ora a declinare, non solo per un’agenda e scadenze di ricerca che non lasciano alcuno spazio, ma anche e soprattutto in quanto perfettamente consapevole che di singole realtà aziendali di alto valore ve ne sono molte in Italia, in ogni regione e con ogni indirizzo colturale, sia a conduzione biologica, sia integrata.

Quindi una visita a una singola azienda, prevedibilmente apprezzabile per molteplici aspetti, non modificherebbe la mia idea di agricoltura moderna, che associa esperienza e innovazione, laica nel metodo e pertanto diretta a generare prodotti salutari per quella maggioranza di cittadini che di essa si avvale, di qualsiasi estrazione sociale ed economica, a partire dai meno abbienti. Né influirebbe sulla scelta di sostenere l’innovazione in agricoltura basata sull’impiego responsabile – nel rispetto cioè delle regolamentazioni negli anni costruite – di chimica, meccanizzazione e genetica, incluse le biotecnologie.

Per ultimo, desidero contraccambiare il cibo che avete voluto donarmi – sicuro spunto per nuove riflessioni pubbliche – con del “cibo per la mente”: testi che potrebbero essere di grande supporto conoscitivo, come la letteratura scientifica lì richiamata, per riflettere su politiche rispetto alle quali ciascuna di voi, in varia misura, si è trovata ad esprimersi pubblicamente.

Per l’On. Cenni ho scelto “Il caso Ogm” di Roberto Defez, per l’On. Cunial “Chi ha paura dei vaccini?” di Andrea Grignolio, per l’On. Muroni “Orco Glifosato” di Donatello Sandroni.

Nella speranza che il mio dono risulti utile e gradito, invio a ciascuna cordiali saluti.

Elena Cattaneo
Professore di Farmacologia, Università degli Studi di Milano
Senatrice a vita