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Ercolano. La straordinaria scoperta dei resti di un cervello vetrificato – Dal Sole 24 Ore del 26 gennaio 2020

Sul domenicale del Sole 24 Ore, Elena Cattaneo racconta la straordinaria scoperta, pubblicata sul New England Journal of Medicine, dell’antropologo Pier Paolo Petrone dell’Università Federico II di Napoli che ha rinvenuto ad Ercolano, nei resti del cranio di una delle vittime della storica eruzione del 79 d.C., resti di materia cerebrale “vetrificata” dall’altissima temperatura che si sviluppò all’epoca in pochi istanti.

Di seguito l’articolo della senatrice Cattaneo.

“C’è metodo, scienza, passione ma anche molto orgoglio nel risultato degli studi antropologici compiuti a Ercolano e pubblicati lo scorso 23 gennaio sulla più prestigiosa rivista medico-scientifica internazionale, il New England Journal of Medicine (NEJM). La letter – che ha conquistato la prima pagina della sezione dedicata – descrive l’eccezionale ritrovamento di parti di cervello vetrificato (ossia letteralmente trasformato in vetro dalle altissime temperature) nei resti della teca cranica del custode del collegio consacrato all’imperatore Augusto, vittima della tragica eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. La straordinaria scoperta, unica nel suo genere, porta la firma di un gruppo dell’Università di Napoli Federico II, guidato dall’antropologo Pier Paolo Petrone, i cui studi sono dedicati da sempre alle eruzioni del Vesuvio e ai loro effetti.

Affacciarsi sulla voragine degli scavi di Ercolano, immaginare una città 20 metri più in basso, con il Vesuvio visibile a pochi chilometri e uomini e donne che la popolavano e animavano ogni giorno, fa comprendere meglio a esperti e non esperti il contesto e il valore della scoperta. Con gli occhi della mente ci si può immedesimare nei tanti testimoni dell’epoca mentre quella colonna di ceneri, lapilli e gas incandescenti si sollevava nella stratosfera fino all’altezza incredibile di 35 chilometri e poi, non riuscendo più a sostenersi, collassava, producendo flussi piroclastici, nubi ardenti ricche di cenere, gas e vapore ad altissima temperatura, in grado di viaggiare a centinaia di chilometri orari. Fu proprio questo spaventoso evento a permettere la straordinaria preservazione della città e delle ville, coperte da uno strato di cenere diventata tufo, fino alla loro riscoperta, quasi duemila anni dopo.

Petrone mi spiega che il primo flusso fu quello killer: attraversata la città di Ercolano (ormai evacuata, a parte pochissime persone) raggiunse la spiaggia, uccidendo all’istante le trecentocinquanta persone che si erano rifugiate nella dozzina di arcate antistanti il mare e sulla battigia, sperando in una via di fuga e di salvezza. Quelle arcate conservano ancora i loro resti, e ne possiamo osservare i calchi in vetroresina, realizzati per essere poi collocati al posto degli originali rimossi per essere studiati: figure straordinariamente plastiche, alcune ricurve, protese nell’atto di muoversi e invece sorprese e lì bloccate per sempre da quel flusso incandescente. Gli studi di Petrone attestano che non sono morte per asfissia ma perché, in pochi istanti, per effetto del calore estremo, il cervello andò in ebollizione, i crani esplosero e i tessuti corporei si vaporizzarono, sostituiti dalla cenere vulcanica che, raffreddandosi rapidamente, avrebbe bloccato quei corpi nella postura assunta nell’ultimo istante di vita per i successivi 2000 anni. È per questo (si ipotizza) che quelle braccia in movimento si presentano a noi alzate, contro ogni logica e gravità e contro tutto ciò che sappiamo sulla reazione dei tessuti umani al calore.

In quella notte apocalittica un uomo, il custode del Collegio degli Augustali, dormiva nel suo letto. Non abbandonò la sua casa, forse non ebbe neanche il tempo di svegliarsi o di muoversi. I suoi resti carbonizzati furono rinvenuti negli anni ’60 del secolo scorso tra le rovine di Ercolano, in un letto ligneo, dove giacciono tuttora. Petrone si accorge di quello strano materiale vitreo nel cranio, lo recupera e lo fa analizzare con tecniche proteomiche dai colleghi biochimici, scoprendo così l’incredibile presenza di diverse componenti proteiche cerebrali.

La scoperta di vittime dell’eruzione è un’importante e incomparabile fonte storica di dati antropologici, patologici, demografici e genetici degli abitanti di queste ricche città romane, ma anche e soprattutto una fonte unica di dati utili per capire gli effetti dell’eruzione sulle strutture, le persone, le cose e il territorio circostante. Si tratta di informazioni cruciali anche per la valutazione del rischio cui sono esposti milioni di persone che oggi vivono nella città metropolitana di Napoli, all’ombra del Vesuvio, ritenuto il vulcano più pericoloso al mondo.

Un lavoro prezioso quello dell’antropologo forense, oggi ulteriormente certificato da un’autorevole pubblicazione. Un lavoro che richiede competenze in biologia, archeologia, anatomia umana, antropologia, tafonomia. In molti Paesi gli antropologi forensi fanno parte di società scientifiche e hanno titoli specifici per lavorare in vari ambiti professionali, mentre in Italia non è così semplice: non è un lavoro regolamentato, manca un albo di riferimento. In assenza di fondi, spesso le ricerche sono autofinanziate. È spesso andata così per Petrone, ma anche per Cristina Cattaneo, a sua volta antropologa forense e medico legale, studiosa della storia dei resti umani nei sepolcreti e impegnata nell’identificazione delle vittime dei recenti naufragi nel Mediterraneo.

Storie e professioni che meritano attenzione, producono risultati scientifici e archeologici tangibili, restituiscono passato e dignità a momenti spesso tragici, hanno un riconosciuto prestigio internazionale e danno lustro al nostro Paese, facendo letteralmente il giro del mondo. Non a caso Ercolano e Pompei, luoghi straordinari, vengono visitate da milioni di persone ogni anno, e l’affluenza è in costante aumento. Un segno concreto di quanto sia forte per l’umanità, in ogni angolo del pianeta, il desiderio di conoscere ogni dettaglio della sua storia, ma anche una dimostrazione di come l’Italia possa contribuire a ricostruirla. Sarebbe una delle direzioni possibili su cui investire in una strategia di promozione dell’immagine internazionale del nostro Paese.

Da oggi, la storia di un uomo di Ercolano che il 24 agosto del 79 d.C.  giaceva nel suo letto sarà a disposizione di tutto il mondo sulle pagine del prestigioso NEJM, a testimonianza di un evento eccezionale e dell’eccezionalità della scienza italiana che sulle conseguenze di quell’evento continua a studiare. In molti saranno grati alla nostra ricerca pubblica, all’Università Federico II di Napoli e al nostro Paese per gli straordinari traguardi di conoscenza che i nostri studiosi, in tutta la penisola, continuano a consegnare al mondo”.

Elena Cattaneo
Docente alla Statale di Milano e senatrice a vita

A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.