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Il soffitto di cristallo ha un punto di rottura – Da D di Repubblica del 24 novembre 2018

Nella sua rubrica su D di Repubblica, la senatrice Cattaneo racconta i suoi anni di giovane ricercatrice al Mit di Boston e riflette sulla presenza e sul ruolo femminile nel mondo scientifico. Oggi, a differenza di quando Rita Levi Montalcini cominciò il suo percorso nella scienza, le limitazioni alla crescita professionale delle donne sono riconosciute come un problema. Risolverlo è (anche) una questione di metodo.

Alla fine degli anni ’80 ho trascorso tre anni al MIT di Boston. Ero una giovane ricercatrice che muoveva i suoi primi passi nel campo delle cellule staminali. In quegli anni e nei successivi, il fatto di essere donna non ha intralciato né rallentato la mia crescita professionale. Anche se non è raro, ancora oggi, ritrovarmi ad essere l’unica scienziata in una stanza piena di colleghi, oppure di notare la mancanza di colleghe nei dibattiti accademici.

Alle nostre fortunate latitudini, dove si ha la possibilità di scegliere studi, carriere e la parte del mondo in cui realizzare le proprie scelte, non credo si possa parlare di una “questione femminile” nella scienza, quanto di una “rincorsa” di chi, suo malgrado, è partito in ritardo e zavorrato da pregiudizi.

Rita Levi Montalcini considerava inaccettabile che a condizionare istruzione e affermazione di una persona fosse il fatto assolutamente casuale di avere nel DNA due cromosomi X, invece che un cromosoma X ed uno Y. Di anni, da quando la Montalcini si iscrisse all’università -con i risultati straordinari che ben conosciamo-, superando l’iniziale contrarietà del padre e le consuetudini dei tempi, ne sono passati a decine. Ma è evidente che non sono stati sufficienti a cancellare le disparità sul fronte dell’affermazione femminile in tutti i campi e livelli.

I recenti Nobel assegnati a Donna Strickland per la fisica e a Frances H. Arnold per la chimica sono un esempio di come il rapporto tra il genere femminile (guai a chiamarlo sesso debole) e la scienza resti per molti un accostamento che incuriosisce. Al di là delle conoscenze e delle scoperte che hanno reso Strickland e Arnold meritevoli dell’ambito premio – in quanti le ricordano? – ad interessare e fare notizia è stata la circostanza, in entrambi i casi rara, che fossero donne: la quinta per la chimica e la terza per la fisica, nei 118 anni di storia dei Nobel.

Mi sono sposata tre mesi prima di partire per Boston. Mio marito e i miei due figli, nati quando ero un ricercatore precario, sono i miei “complici” in una vita fatta di continui viaggi nel minor numero di ore possibili, quotidiani sensi di colpa da risolvere (soprattutto quando i figli erano piccoli), rientri a tarda sera, pasti preparati di notte. Oggi dirigo un laboratorio alla Statale di Milano dove la presenza femminile è preponderante: otto uomini su 25 persone. Conosco diverse donne con ruoli apicali e una famiglia. Purtroppo ne conosco molte altre che, pur investendo ogni loro atomo nello studio o nel lavoro, al momento di tentare il “salto” non si percepiscono all’altezza.

L’ultimo Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca dell’ANVUR ci informa che la presenza femminile tra i docenti universitari è in crescita “costante e regolare”, che il numero di laureate supera quello dei laureati (58% contro 42%) e che tra dottorandi, dottorati di ricerca e assegnisti i due sessi si equivalgono. La forbice, purtroppo, si inverte ancora nei gradi superiori e si allarga man mano che si sale ai livelli di professore associato e ordinario (dove gli uomini sono il 78%). Ma oggi, a differenza del passato, il “soffitto di cristallo” che limita la crescita professionale delle donne si conosce, si denuncia e ci si interroga su cause e soluzioni. Quote rosa? Coaching per immaginarsi fuori dai cliché? Politiche pubbliche di sostegno alla famiglia? Tutto può e deve essere esplorato, senza preconcetti, cercando la formula più efficace per ciascuna realtà sociale.

Se è vero che il cristallo è noto per la sua durezza, è anche vero che si può infrangere d’un tratto. Si tratta solo di cercare insieme il “punto di rottura”. Forse il primo, quello condizionante, è dentro ciascuna donna, ciascuna casa.

Elena Cattaneo
Docente della Statale di Milano e senatore a vita