Attività promosse dalla Sen. Elena Cattaneo in Senato
www.cattaneolab.it

Un “vero” cibo bio? Solo con l’ingegneria genetica – da D di Repubblica, 7 ottobre 2017

Una recente sentenza della Corte di giustizia europea ha stabilito che il principio di precauzione non è sufficiente a vietare la coltivazione di Ogm, ovvero piante che si proteggono dai parassiti grazie all’aggiunta di un gene. Per vietarle, dice la Corte, serve la prova di rischi gravi e documentati. Ebbene, di prove ce ne sono a decine, ma in senso opposto: fino ad oggi non esiste alcun riscontro scientifico per ritenere più pericoloso per la salute e l’ambiente l’uso di Ogm, rispetto a piante tradizionali o biologiche. Il divieto italiano del 2013 era quindi illegittimo: il mais Ogm si poteva coltivare. Ma nel 2015 è arrivata la direttiva Ue che ha permesso agli Stati membri di “vietare”, a prescindere dalla scienza, anche a costo di danneggiarne le economie. L’Italia ha scelto, orgogliosa, questa opzione. Una posizione che, alla luce dei fatti (scientifici e verificati), è più “ideologica” che razionale, e congeniale a sostenerne un’altra, a supporto dell’agricoltura biologica. C’è qualcosa di razionale almeno in questa seconda scelta?

Nell’immaginario comune, “biologico” è sinonimo di “più sano”, “più sicuro”. Complice una vasta operazione di marketing con “sponsor” d’eccezione nelle istituzioni, “essere bio” è avvertito come segno di “eccellenza”. A luglio il Parlamento ha votato a favore di un Fondo da 44 milioni di euro per le mense scolastiche biologiche, gestito dal ministero delle Politiche agricole, per la promozione e la diffusione dell’utilizzo di prodotti bio in asili e scuole. L’obiettivo, dichiarato dal ministro Martina, è “garantire ai nostri figli un’alimentazione più sana anche nelle scuole”. A fronte di un investimento pubblico e dell’obiettivo (i nostri ragazzi), bisogna chiedersi se è davvero così, se i benefici di questi prodotti sono reali e tali da giustificare prezzi più alti.

L’agricoltura biologica, a differenza della tradizionale, non utilizza pesticidi di sintesi. Molte piante saranno flagellate da parassiti, le poche sane saranno vendute a caro prezzo. Ma i marchi del biologico commerciale, che devono riempire gli scaffali dei supermercati, per assicurarsi una certa quantità di prodotto devono tenere funghi e batteri lontani con agrofarmaci autorizzati: naturali sì, ma non necessariamente “più sicuri”. Alcuni riportano in etichetta indicazioni come “Prodotto tossico per le api e altamente tossico per gli organismi acquatici…”, o addirittura: “Questo materiale ed il suo contenitore devono essere smaltiti come rifiuti pericolosi”. Per evitare la ticchiolatura, ad esempio, le mele bio ricevono tra i 10 e i 20 trattamenti all’anno con fitofarmaci che possono contenere metalli pesanti come il rame con probabili rischi di tossicità per l’uomo e per il suolo.

Un paio di anni fa, Altroconsumo è entrato nei supermercati e ha confrontato prodotti da agricoltura biologica e tradizionale trovando differenze nutrizionali praticamente nulle, ma segnalando una maggiore presenza di rame e nitrati in carote e pomodorini bio, oltre a prezzi tra il 70 e il 100% superiori.

A qualificare un prodotto come “biologico” bastano “una serie di procedure” dalle quali si può derogare, in caso di necessità. Ma il prodotto finale, dicono le analisi, è indistinguibile da uno “non bio”. Ognuno è libero di scegliere come riempire il carrello, ma è doverosa un’informazione corretta. Che riconosca, ad esempio, che il bio copre appena il 3% della richiesta alimentare e che senza agrofarmaci non sapremmo come produrre il restante 97%. A meno di tentare un’altra strada: eliminare l’assurdo divieto che in Italia impedisce la ricerca pubblica in campo aperto sull’ingegneria genetica applicata alle piante, per renderle resistenti ai parassiti ed eliminare, in un solo colpo, inganni alimentari e tonnellate di pesticidi.

Elena Cattaneo, nata a Milano, è ricercatrice e docente di Farmacologia alla Statale di Milano e, dal 2013, senatore a vita