Attività promosse dalla Sen. Elena Cattaneo in Senato
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Fidarsi della scienza – Da Donna Moderna del 17 settembre 2020

Sul numero speciale del settimanale Donna Moderna che ospita una serie di conversazioni con personalità femminili di rilievo della società italiana, la giornalista Isabella Fava intervista la Senatrice Cattaneo.

Durante questa pandemia, ci siamo avvicinati al linguaggio della scienza. A volte osannati, molte volte criticati, i ricercatori sono “usciti” dai laboratori per spiegarci cosa stava – e sta – accadendo. Elena Cattaneo, 57 anni, scienziata di fama mondiale, si batte per diffondere una cultura scientifica, basata sulla ricerca e la diffusione “democratica” dei risultati, che possa migliorarci la vita e renderci più responsabili.

Cosa ci ha insegnato il Covid-19? «Anche se non ce ne rendiamo conto, la scienza e la medicina lavorano per proteggerci da virus e batteri che ogni giorno sono intorno a noi. In questi mesi abbiamo sperimentato cosa vuol dire essere vulnerabili, ci siamo scoperti indifesi di fronte a una natura che fa il suo corso al di là del nostro dominio. Questo ci ha insegnato che la conoscenza è una nostra grande alleata: solo facendo ricerca, anche “in tempo di pace”, potremo avere gli strumenti per comprendere, prevenire o superare le emergenze, senza che la paura prenda il sopravvento».

Che ruolo deve avere la scienza oggi? «La scienza per sua natura è a disposizione dei cittadini, delle esigenze della società. Con l’irrompere del virus alcuni laboratori hanno reindirizzato i propri studi, altri hanno modificato i piani per non perdere sperimentazioni attive, altri fanno turni di notte per non interrompere le ricerche. Ciò che la scienza offre, in ogni circostanza, è il proprio metodo. Lo studio, la ricerca di prove, la verifica di ogni risultato sono i migliori strumenti a nostra disposizione per strappare sempre nuovi pezzi di conoscenza all’ignoto e muoverci nel mondo con maggior consapevolezza dei nostri limiti, ma anche delle nostre infinite potenzialità».

Cosa succederà in futuro? Continueremo a cambiare i nostri comportamenti? «Io credo di sì, abbiamo il dovere di farlo. Dobbiamo reagire alle circostanze, senza abbatterci né banalizzare lo sforzo collettivo a cui siamo chiamati. Abbiamo improvvisamente rinunciato a comportamenti fino a ieri “scontati”, come parlarsi e lavorare fianco a fianco, stringerci la mano nel presentarci, abbracciarci tra amici. Tutte rinunce che possono contribuire a dare un rinnovato valore e senso sociale alla quotidianità, al confronto e agli affetti».

Perché gli scienziati sono a volte ascoltati con scetticismo? «Nel nostro Paese mancano l’abitudine e l’educazione al ragionamento scientifico, che non procede per tesi ma per verifiche e mette in discussione anche le idee a cui siamo più affezionati. Non avendo quasi mai l’occasione di capire come nasce una nuova scoperta, il cittadino tende a immaginare lo scienziato come una sorta di oracolo che, a richiesta, dà risposte ai problemi più attuali, e tende a percepire la scienza come un corpus rigido e dogmatico di informazioni, da cui estrarre “le certezze” che servono, quando servono. Invece la scienza è un metodo che sperimenta e verifica per strappare centimetri all’ignoto, serve a rapportarci meglio con l’incertezza della realtà che ci circonda. Per costruire fiducia, il compito dello scienziato è “uscire dal laboratorio” includendo i cittadini nelle scoperte, facendo loro comprendere i vantaggi che la scienza può offrire».

La scienza è spesso in secondo piano rispetto alla politica. «Il suo metodo, basato sulle prove e non sulle opinioni, sulla discussione, sulla ricerca e verifica di ogni dato, è spesso inconciliabile con i meccanismi e i tempi della politica, dove sempre di più si cerca un consenso immediato, “di pancia”. Fare leva su paure e illusioni, anche disconoscendo le indicazioni della comunità scientifica, è funzionale a questo scopo. In democrazia l’onere e l’onore della scelta spettano alla politica, ma l’auspicio è che le decisioni siano prese sulla base delle evidenze scientifiche e non delle narrazioni prevalenti, per progettare dove si vuole essere tra 5-10 anni».

Le donne fanno fatica ad affermarsi. «Se si guarda ai voti e alle capacità documentate delle studentesse e ricercatrici nel corso della carriera, è evidente che permane il “soffitto di cristallo”, una zavorra che frustra legittime aspettative di crescita. Si sconta, magari anche nelle famiglie, il ritardo dovuto a secoli in cui il ruolo femminile è rimasto relegato all’organizzazione domestica. È sempre più urgente riuscire a dare risposte sotto forma di nuovo welfare familiare, ma anche lavorare su alcune nostre rigidità culturali. Individuare condizioni e strumenti di “sottrazione di zavorra materiale e culturale” che non privilegino le donne, ma consentano loro di competere in parità di condizioni e opportunità, è la strada maestra da seguire».

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