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Meno sovranità, più innovazione – Da D di Repubblica del 7 gennaio 2023

Nel suo editoriale sul primo D di Repubblica del 2023, la senatrice Cattaneo evidenzia come il tema della “sovranità alimentare”, uno di quelli alla ribalta della nuova legislatura, debba essere necessariamente declinato accogliendo l’innovazione e la ricerca anziché rigettarle per assecondare narrazioni terroristiche e scientificamente infondate.

Di seguito l’articolo della senatrice Cattaneo.

Nei mesi scorsi ha fatto discutere la scelta del nuovo governo di modificare la denominazione del ministero dedicato alle politiche agricole, oggi “Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste”. Il concetto di sovranità – da intendersi, ha chiarito il ministro Francesco Lollobrigida, in senso contrario a quello di “autarchia” – rimanda a un modello di gestione delle risorse agroalimentari che difenda e valorizzi i prodotti nazionali e la nostra cultura alimentare, anche nell’ottica dell’indipendenza dall’estero.

Ma quali sono questi “prodotti nazionali italiani” da difendere? Qual è la loro storia? Studiando, si capisce come pomodoro, mela, ciliegia, melanzana, patata, mais, riso e agrumi, che percepiamo come “nostri” prodotti, e che negli anni hanno guadagnato certificazioni di provenienza e qualità, hanno un fattore in comune: non sono originari dell’Italia e nemmeno dell’Europa. Gli odierni frutti della terra sono peraltro anche il risultato di decenni di adattamento e miglioramento genetico, tramite incroci, innesti, impianti di colture “aliene” in terreni dove non si erano mai viste prima. Rappresentano perciò un’innovazione rispetto a quello che naturalmente crescerebbe sul territorio italiano. Prendiamo le mele, oggi orgoglio e tipicità di tante nostre regioni. Non sono nate vicino a noi, ma a 7000 metri, sulle montagne del Kazakhstan e “migrate” verso Ovest lungo migliaia di anni, grazie anche a orsi e cervi che di esse si nutrivano e i cui escrementi contribuivano a spargerne i semi sempre più lontano dall’ambiente originario. O il riso, pianta originaria dei climi tropicali del Sudest asiatico, oggi coltivata, grazie alla selezione operata dall’uomo, anche nei climi freddi delle zone umide del Nord Italia.

In altre parole, la tradizione “sovrana” da difendere oggi non è che l’innovazione di ieri. Un processo che va avanti da quando la specie umana ha iniziato a praticare l’agricoltura. Viene da chiedersi, quindi, sulla base di quali criteri questa innovazione, che nel tempo ha aiutato a sfamarci sempre di più e meglio, abbia smesso di essere parte della nostra storia per diventare uno spauracchio da combattere a tutti i costi, al di là di ogni evidenza scientifica.

Fin dal 1908, la produzione di limoni nel nostro Paese è minacciata dal malsecco, che colpisce soprattutto le varietà italiane più pregiate. Nel 2021, Alessandra Gentile – docente di arboricoltura all’Università di Catania – con il suo gruppo di ricerca, in collaborazione con la Fondazione Mach di Trento, ha sequenziato, prima al mondo, il genoma del limone. Nel suo laboratorio in Sicilia si studiano da anni tecniche di miglioramento genetico per rendere resistenti al malsecco questi tipici limoni italiani preservandone le caratteristiche di qualità. L’obiettivo sembrava vicino: i ricercatori avevano sperimentato in serra, con successo, un limone transgenico con queste caratteristiche. La verifica sul campo, però, non è mai stata possibile: trattandosi di un Ogm, serviva infatti uno specifico protocollo di sperimentazione da parte dei ministeri dell’Agricoltura e dell’Ambiente. Mai sottoscritto. Stessa sorte toccata a tante altre varietà italiane oggi a rischio a causa di malattie, parassiti, cambiamenti climatici.

Per inerzia e miopia, le istituzioni italiane da due decenni assecondano narrazioni passatiste e talvolta terroristiche, sbarrando la strada a possibili innovazioni in agricoltura, quelle sì 100% made in Italy, realizzate dai ricercatori pubblici, che consentirebbero di salvaguardare e valorizzare le coltivazioni del territorio – e quindi, in ultima analisi, la nostra “sovranità alimentare”. Proprio quella che, ogni giorno, i nostri studiosi e imprenditori agricoli vorrebbero essere liberi di assicurare al Paese con scienza, intelligenza, investimenti e lavoro.

A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.