Attività promosse dalla Sen. Elena Cattaneo in Senato
www.cattaneolab.it

Ogni essere umano può – da D di Repubblica del 6 aprile 2024

Nel suo editoriale su D di Repubblica di sabato 6 aprile, la senatrice Cattaneo, partendo da un TEDx Talk sulla malattia di Huntington, ricorda che tutti noi abbiamo risorse e capacità per reagire anche alla più terribile delle circostanze.

Di seguito l’editoriale di Elena Cattaneo.

Cosa fare quando sembra che da fare non ci sia più niente? “L’infinita capacità di ogni uomo” è il titolo di un recente TEDx Talk sulla malattia di Huntington, tenuto a Bath (UK) da Charles Sabine, per anni inviato di guerra della NBC e oggi impegnato a divulgare a livello globale la conoscenza sulla malattia di Huntington (di cui è affetto). Tredici minuti nei quali, attraverso la sua esperienza, Sabine ricorda come le risorse che ogni essere umano è in grado di mettere in campo per affrontare le avversità della vita vadano ben oltre quanto siamo inclini a credere a un primo sguardo.

Era il 12 luglio 2005 quando ha scoperto di avere la mutazione genetica che causa l’Huntington. Il neurologo, nel comunicargli i risultati del test che provava che anche lui, come suo fratello, aveva ereditato la malattia dal padre, aveva commentato “non c’è niente che tu possa fare” contro una malattia, nelle sue parole, “genetica, incurabile, fatale”. Sabine si è chiesto, come forse avremmo fatto tutti noi, come reagire di fronte a una notizia del genere. La malattia di Huntington, spiega, presenta “i sintomi combinati del Parkinson, dell’Alzheimer e della schizofrenia”. Nei secoli, questo decorso è stato accompagnato da un fortissimo stigma sociale: i malati venivano considerati pazzi o indemoniati, spesso abbandonati o tenuti nascosti dalle stesse famiglie per non essere a loro volta “marchiate”. Charles Sabine confessa che nella sua famiglia aveva sempre prevalso la vergogna: la madre, che pure aveva assistito il marito fino alla fine, non aveva mai nemmeno pronunciato il nome della malattia, e il certificato di morte dello zio era stato modificato, pur di non lasciare traccia del fatto che il suo decesso fosse stato causato dall’Huntington. Anche per questo ha deciso di dedicare ogni sforzo a cancellare l’ingiustizia dello stigma che fino ad allora aveva accompagnato la malattia, impegnandosi in prima persona per “trascinare l’Huntington fuori dall’ombra”. Quando le famiglie Huntington di tutto il mondo hanno iniziato a incontrarsi e a confrontarsi con la comunità scientifica, si è scoperto che l’incidenza della malattia era il doppio di quanto si pensasse. Finché era rimasta nascosta e negata, l’interesse da parte dell’industria farmaceutica nel trovare strategie terapeutiche era molto scarso, e il nostro laboratorio all’Università di Milano era tra i pochi che vi si dedicassero pressoché completamente. In questi 18 anni il panorama è molto cambiato: oggi nel mondo siamo in migliaia a studiare l’Huntington, con ricerche di base e cliniche che si avvalgono delle più avanzate intuizioni e strategie, e col pensiero rivolto alle famiglie colpite. È il nostro contributo affinché non si sentano più sole.

Ma anche fuori dai laboratori si può fare molto per combattere una malattia che, ancora prima della sofferenza, colpisce per lo stigma che la accompagna. In molti hanno fatto sì che da una notizia inaspettata e dolorosa scaturisse del bene, per sé stessi e per gli altri. Nel secondo dopoguerra, Marjorie Guthrie, moglie del cantautore folk statunitense Woody Guthrie – affetto dall’Huntington – fu tra i primi ad avviare un’opera di diffusione della conoscenza sulla malattia al fine di limitare l’isolamento sociale per i malati e le famiglie. Fu grazie a lei che nel 1968 nacque la Huntington’s Disease Society of America che oggi continua a sostenere la ricerca e le famiglie. Nel 1968, Milton Wexler (padre della genetista Nancy Wexler, che guidò un team di studiosi da tutto il mondo a scoprire, nel 1993, il gene che causa l’Huntington), fondò l’Hereditary Disease Foundation (HDF). Oggi è Nancy a presiederla. Pochi giorni fa, l’ho sentita – combattiva come sempre – dalla casa di New York dove affronta la malattia che ha colpito prima suo nonno, poi gli zii e sua madre, e ora lei. Di questa fondazione fa parte anche Frank Gehry, universalmente conosciuto come l’architetto che ha progettato alcuni degli edifici più famosi e iconici del mondo. È anche colui che con l’HDF finanzia il premio Leslie Gehry Brenner, intitolato a sua figlia, morta di tumore in giovane età. Anche lui ha saputo trasformare il dolore per la perdita della figlia in un’enorme impresa filantropica per premiare il lavoro tenace e incessante di scienziati e laboratori che studiano malattie ereditarie e sperimentano strade terapeutiche per affrontarle.

Charles, Marjorie, Frank, Nancy e suo padre non sono che esempi dell’incredibile capacità che ogni essere umano può esprimere di fronte a una condizione apparentemente insopportabile o allo shock di sentirsi dire “non c’è nulla da fare”. Storie che dimostrano che possiamo sempre fare qualcosa, concentrando le forze affinché nessuno debba più sentire il dolore dell’isolamento e dello stigma sulla propria pelle.

A questo link è possibile consultare e scaricare l’articolo in formato PDF.